S'imbucano al nostro esclusivissimo party neuronale come ospiti indesiderati, rimanendoci in testa per giorni. In alcuni casi, ci strappano un sorriso o ci ricordano il jingle di una vecchia pubblicità della nostra infanzia. Ah, che nostalgia! Di frequente, li sfoggiamo su t-shirt e cappellini ricamati. Mi riferisco ai payoff – o slogan. Frasi brevi, catchy e magnetiche utilizzate per la promozione di un prodotto, di un servizio o del brand stesso. L'obiettivo? Racchiudere l'identità e la mission di un'azienda in quattro, cinque parole al massimo. Ah, un bel tormento per i copywriter!
In quest'articolo, voglio riassumere brevemente i top e flop relativi ai payoff più interessanti della storia. Beh, cos'è quella faccia? Non dirmi che hai intenzione di risolvere la questione con un «Al tuo servizio dal 1960». Puoi fare di meglio, ne sono sicura.
Allaccia la cintura. Analizzeremo i payoff creativi alla velocità della luce.
La formula segreta di un payoff memorabile
Okay, scalpiti dalla voglia di scopiazzare i payoff dei BIG nella speranza di fare il botto. Ci abbiamo pensato tutti, una volta o l'altra. Tuttavia, ti consiglio di partire dalle basi di uno slogan da 110 e Lode, coerente al prodotto venduto o alla mission della tua attività.
Dunque dunque, il tuo payoff dovrebbe essere:
- Evergreen. Lo slogan deve «star bene su tutto» come un tubino nero: sul tuo sito web, sui bigliettini da visita, su una rivista e sulle t-shirt promozionali destinate ai clienti più affezionati. Meglio non strafare con "abbinamenti verbali" multicolore. Di frequente, less is more.
- Credibile. Beh, si sa: il prodotto perfetto non esiste. E il payoff non può ignorare i limiti della tua prossima proposta commerciale. Un ristorante vegano corredato dallo slogan «La carne che mette tutti d'accordo» è ambizioso, sì, ma nient'affatto coerente. Discorso analogo vale per i tanti gelati dimagranti, fast-food dietetici, aspirapolveri iper-ultra-silenziosi e scarpe da ginnastica indistruttibili anche sulla cima del Monte Everest. Prima di mandare in stampa, domandati: «Non è che mi sono lasciato prendere un po' troppo la mano?».
- Musicale. No, non è necessario affidarti alla collaborazione di Beppe Vessicchio in smoking sanremese. Però davvero, uno slogan che "suona bene" merita di diritto un posticino nella mente dei tuoi potenziali clienti. Un esempio? «Tatatatata I'm lovin'it».
- Originale e rivolto all'utente finale. Cosa rende la tua azienda diversa dalle altre? Dillo con uno slogan memorabile e creativo, concentrandoti sui vantaggi che l'utente riceverà in cambio della fiducia che ti ha accordato. «Perché voi valete» di l'Oreal ne è esempio lampante.
Esempi di payoff famosi che hanno fatto il botto
«Che mondo sarebbe senza Nutella», «Impossible is nothing», «Dove c'è Barilla c'è casa», «Think different» e molti, moltissimi altri. I payoff che meritano di salire sul podio sono tanti. Dal «Just Do it» di Nike che condivide con sportivi e poltroni un'unica filosofia di vita, passando per «Ci sono cose nella vita che non si possono comprare, per tutto il resto c'è MasterCard».
Quest'ultimo, pur essendo extra-long, rientra nella classifica degli slogan più memorabili di sempre in virtù del suo romanticismo. La prima campagna pubblicitaria, trasmessa in 98 nazioni e in 46 lingue, faceva leva sulla componente emotional della relazione padre-figlio. Due biglietti per la partita? 28$. Tuttavia, niente può superare il valore affettivo di un pomeriggio trascorso in famiglia… «per tutto il resto c'è MasterCard».
Altrettanto vincente è il già citato payoff di McDonald's, creato nel 2003 dall'agenzia tedesca Heye & Partner nella versione originale «Ich liebe es», successivamente tradotta in «Taratatata, I'm lovin'it». La musicalità del jingle, combinata alla connessione emotiva tra cliente e azienda, mette in evidenza i punti di forza della proposta (non molto) salutare della chain statunitense: il gusto che accontenta tutti, grandi e piccini, e la convenienza dei prodotti.
E che dire dei flop?
Ecco, io sono una ghostwriter che si preoccupa poco, anzi, pochissimo dei fallimenti. E non perché abbia il potere della "super-penna infallibile", ma più semplicemente perché le bozze e gli scarti, le pessime idee e i flop sono onnipresenti in qualsiasi iter creativo di successo. Ma c'è un tipo, uno svedese di nome Samuel West, che ha davvero… esagerato. Lo psicologo e ricercatore della Lund University, un bel giorno s'è svegliato e ha fondato il Museum of Failure a Helsingborg, in Svezia.
La mini-mostra di mostruosità aziendali è stata riproposta anche a Los Angeles nel 2018, e a Shangai e a Parigi nel 2019. L'obiettivo? Raccogliere gli scivoloni più catastrofici commessi dalle grandi multinazionali del nostro tempo, restituendo dignità agli errori del passato.
Com'è che si dice? Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Ecco, per evitare di essere diabolicum, hai due alternative: seguire a menadito il nostro mini-vademecum per la scrittura di uno slogan aziendale efficace o, in alternativa, delegare la tua prossima campagna di marketing a un gruppo di professionisti con la P maiuscola. Noi di Ghostwriter non vediamo l'ora di condensare la tua lunga esperienza imprenditoriale in una manciata di parole taglienti come un coltellino svizzero. In fondo, noi siamo " Scrittori che dall'ombra portano alla luce. Con le parole".
Prima di lasciarti, voglio spifferarti uno dei tanti rischi collegati a un payoff non coerente all'identità e alla mission del marchio. Poi non dire che non ti ho avvisato! La celebre azienda di dentifrici Colgate – slogan: «Per una bocca sana» - stabilì negli anni Ottanta di darsi alle… lasagne surgelate da mangiare prima di lavarsi i denti.
Il tentativo – com'è lecito immaginare – si rivelò un flop di dimensioni apocalittiche. L'immagine del brand era talmente ancorata al settore dell'igiene orale da indurre i consumatori a credere che forse – tra le carote e la carne bovina – avrebbero trovato anche un sottile strato di sbiancante al mentolo.
E tu, sei pronto a scrivere (o a farti scrivere) un payoff memorabile?