Un paio di cose da sapere sul rapporto tra cucina e scrittura
«Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu…». Quindi, lo ammetto: non so cucinare. Io, i carrelli sbilenchi del supermercato, li riempio di roba surgelata, altra roba pronta, un po' di roba in scatola e, per concludere, una manciata di roba imbustata o (facilmente) imbustabile. Non so riconoscere la differenza tra una zucchina e un cetriolo. Nel dubbio, compro l'insalata.
Per il piacere di complicarmi la vita, abito ad Atene da un tot di anni e convivo con la (s)fortuna più compromettente della mia vita: sono italiana.
«Ma sai che l'avevo intuito, eh…» - mi dirai.
Sì, sì, si capisce. Il punto è che l'italianità, secondo i miei amichetti internazionali – greci, spagnoli, francesi, portoghesi, russi, americani, turchi, argentini e pure un tipetto irlandese alto due metri (di cui non riesco a decodificare l'accento Irish, ma va be') – dicevo, per loro tu devi pur essere una versione meno furente di Carlo Cracco. To', una specie di Benedetta Parodi. Okay, vada per la protagonista di Fatto in casa da Benedetta.
Insomma, tu sei una cuoca. Una chef. Una che si mette ai fornelli e – Zac! Frrr! Glu-glu! – ti prepara una sogliola gratinata in meno di dieci minuti. E dal momento che convivo con la sindrome dell'impostore, non ho il coraggio di rivelare che «io, la cucina? Non so che farmene! Preferirei avere un tavolo da ping-pong al posto dei fornelli!».
E così, un paio di settimane fa, mentre mi struggevo per via delle mie (non) doti culinarie stipata in un vagone della metropolitana puzzolente come un paio di calzini post-maratona, ho deciso di rimediare. Ho acquistato un libro di cucina. Di cucina stellata. E non contenta, l'ho comprato in greco. Infine, ho completato la mia opera di (auto)disfatta con un paio di messaggi su WhatsApp: «Ciao, vieni a cena da me domani?».
Una spunta. Due spunte. Due spunte blu. Tizio sta scrivendo… «Sì, a che ora?».
Dlin.
Leggo la notifica.
Quando scendo dalla metropolitana, me ne sono già pentita.
Una questione di mappazzoni (anche) editoriali
Mappazzone. Secondo un'approssimativa definizione trovata in rete: "è un regionalismo emiliano che indica un piatto troppo pieno di ingredienti, privo di grazia, poco piacevole alla vista e spesso anche difficile da digerire".
Osservo la mia Moussakà – una specie di sformato Made in Greece di carne e melanzane – e non posso che dirmi d'accordo. C'è tutto: dall'ammasso di ingredienti alla scarsa digeribilità. Ho fatto proprio un bel lavoro!
Ora, si dà il caso che i mappazzoni non si mangiano solo. Si leggono anche. Li riconosci, i libri che «rimangono sullo stomaco». Non tengono in tensione il lettore. Mancano di empatia tra il pubblico e le (dis)avventure dei personaggi, sono privi di climax emotivi o elementi di mistero, e magari peccano di suspence al termine di ogni capitolo. Per non parlare degli orrori – ops, intendevo dire – errori di battitura, della poca, pochissima creatività messa al servizio della narrazione e dei tanti (troppi) contenuti confusi che si affollano tra le pagine e rendono un manuale di istruzioni un manuale di distruzioni.
Ci siamo capiti.
Il punto è centrale. La scrittura di un libro con la L maiuscola non ammette né scorciatoie né sconti 2 x 1 né tantomeno alternative facili facili per mandare in stampa un prodotto di qualità in poco più di due settimane. Dai, facciamo tre.
La stesura di un testo è un lavoro artigianale, in cui le parole concorrono alla trasmissione di messaggi, insegnamenti, idee ed emozioni. I tuoi.
E quindi…?
Be', quindi è opportuno: A) non lasciarsi infinocchiare da quelli che amo definire «ghostwriters Speedy-Gonzales» - anche noti come «gli scrittori più veloci di tutto il Messico», ehm, «di tutta l'Editoria» - e B) tenersi alla larga dagli autori di libri preconfezionati. Tutti uguali, tutti piatti, tutti insignificanti. Sì, un po' come i sughi pronti che si affollano nella mia dispensa, o magari le insalate in busta lasciate a ingiallire nel primo ripiano del frigorifero.
Se intendi pubblicare il tuo prossimo masterpiece, devi fare affidamento su autori pentastellati. In caso contrario, correrai il rischio di portare in tavola un mappazzone di parole e carta stampata… indigesto come la mia Moussakà.
È questo il motivo per cui noi di Ghostwriter.it selezioniamo le nostre penne con cura (maniacale) e tanta passione. Lavorano con noi scrittori fantasma pubblicati – sotto mentite spoglie – dalle migliori case editrici tricolori. Quelle di risonanza nazionale. Magari le hai sentite nominare: Einaudi, Mondadori, Rizzoli e chi più ne ha, più ne metta.
In aggiunta, nella nostra redazione siamo tutti precisini DOC. Non sbagliamo neppure un tempo di cottura – no, errore mio, intendevo dire - una scelta lessicale. Ti ascoltiamo, ci appassioniamo alla tua storia personale o professionale e, non contenti, aggiungiamo un pizzico di spezie piccantine per insaporire la narrazione e per confezionare prodotti editoriali appetitosi come un piatto a cinque stelle.
Per saperne di più, dai un'occhiata ai nostri servizi di scrittura su commissione o di editing.
Se invece ti è venuta fame a forza di sentir nominare Moussakà et similia, fai indigestione di articoli del nostro blog. Li ho scritti (quasi) tutti io, e ti raccontano un po' di fatti miei e un po' di editoria in pillole.
Alla prossima!
Copyright
© Ghostwriter.it
Iscriviti al blog! ti invieremo una e-mail quando verra' pubblicato un nuovo post.