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Alla ricerca del refuso perduto. Riflessioni di una ghostwriter bloccata in aeroporto

Un refuso può sfuggire, a chiunque! Un refuso può sfuggire, a chiunque!

Sono in aeroporto. Di nuovo.

E dal momento che il mio volo è rimasto bloccato in chissà quale pista di decollo d'Oltralpe a causa di uno sciopero indetto dai piloti francesi – «Oui, oui, sarà mica aumentato il prezzo della baguette a bordo?» –ho ordinato un caffè macchiato alla modica cifra di cinque euro e mi sono messa a riflettere sul mio lavoro.

E in particolare, sul fatto che le persone siano sempre in soggezione quando devono scrivermi qualcosa. I miei «Sta scrivendo…» su WhatsApp durano in media il doppio dei tuoi.

Non mi credi?

Giurin giurello, te lo assicuro.

Problema numero 1: ogni chat, ogni e-mail, ogni lettera bollata che ricevo da chi – volente o nolente – è a conoscenza della professione che svolgo è sempre preceduta dalla formula magica «Guarda, forse ho commesso degli errori perché ho scritto di fretta», oppure «Non ho avuto tempo di rileggere».

I miei zii – evidentemente terrorizzati da una nipote non soltanto "scrittrice", ma pure "fantasma" – hanno risolto il problema inviandomi una carrellata di foto, video o GIF. Per fartela breve, la nostra è una comunicazione basata sul tentativo di decifrare cosa diavolo possa mai significare un Bugs Bunny che corre beato con una carota in bocca – che la cena è pronta? Che si mangerà insalata? Che mio cugino ha vinto la maratona di New York?

E dire che sono troppo pigra per meritare il titolo onorifico di grammar-nazi. I refusi li trovo, ma non lo faccio (quasi) mai presente.

Problema numero 2: la nonchalance con cui ignoro il cartello «La macchinetta non da resto» – rigorosamente senza accento– non viene ripagata con la stessa moneta. La mia clemenza si scontra quotidianamente contro la spietatezza dei miei interlocutori. Una settimana fa, mentre me ne stavo comodamente stritolata in metropolitana, rispondo sbrigativamente al messaggio di un amico.

«Ci vediamo un altra volta, okay?»

Sì, l'ho scritto senza apostrofo.

Sarà stato il correttore truffaldino dello smartphone, la stanchezza o il poco tempo a disposizione? Io non lo so mica. Mi è scappato. Non mi giudicare anche tu, eh…

E il mio amico – che a pensarci bene merita di essere declassato al rango di nemesi – mi risponde: «Va bene, ma con l'apostrofo». Ci ho messo cinque minuti buoni per capire che il famigerato apostrofo si riferiva alla mia svista grammaticale, e non al nome di un locale super-trendy in cui ci saremmo dovuti incontrare next time.

Le (dis)avventure di un editor

Il refuso può sfuggire. È lecito, oh!

Ed è buona norma evitare di mettere alla berlina chi fa lo sforzo di esprimere a parole (scritte) quel che gli passa per la testa. Senza dimenticare che i refusi sono una manna dal cielo per quanti, nella vita, si definiscono editor. Nei panni di scova-errori, i professionisti in questione fanno le pulizie di primavera nei manoscritti degli autori esordienti (e non solo), rendendo un testo immediatamente pubblicabile. E allora, lo scrittore con la S maiuscola è colui che lascia sempre qualche refuso volontario qua e là con l'intento di rendere orgoglioso (e utile) l'editor che se ne occupa.

Secondo me la perfezione, nel settore editoriale come nella vita, è una rottura di scatole. Quel che ha davvero importanza sono le competenze acquisite con impegno, dedizione e passione.

Non mi credi?

Immagina di essere un esperto di fagiolini. Sai tutto, ma proprio tutto, sui fagiolini. In ogni caso, sei consapevole di non avere grandi abilità linguistiche, non hai idea di come scrivere un libro e ti ostini a digitare sulla tastiera «E'» piuttosto che «È».

Perché abbandonare il proposito di tramandare alle generazioni future la tua inestimabile conoscenza sul Phaseolus vulgaris – sì, l'ho cercato su Wikipedia – evitando di trasformare la comunicazione scritta in una barriera?

Qualcuno tra i miei lettori potrebbe ribattere: «Beh, ma anche tu potresti scrivere un libro sui fagiolini, no? Fai qualche ricerca in rete, butti giù un indice e vai in stampa velocemente. È il tuo lavoro! Chi può farlo meglio di te?».

«Un esperto di fagiolini!» dico io.

Insomma, mi aspetto che sia l'esperto di Phaseolus vulgaris a scrivere un libro sulle taccole e gli asparagi, non un eventuale autore pluripremiato che copia-incolla da Internet senza nemmeno sollevare le chiappe dalla sedia.

Ed è in uno scenario del genere che entra in gioco la figura dell'editor: correggere i refusi e le lacune di un libro significa restituire dignità a un manoscritto ricco di informazioni valide, ma scritte male.

È un motivo di vergogna scrivere male?

Secondo me no.

È un motivo di vergogna non scrivere affatto, soprattutto in un'epoca in cui ghostwriter ed editor di professione consentono a chiunque abbia qualcosa (di qualità) da dire, di dirla (bene). È proprio quest'ultima la strada che voglio seguire, giorno dopo giorno, nei panni di scrittrice fantasma. E sono certa del fatto che i miei colleghi in Ghostwriter siano d'accordo con me.

Ah, a proposito, se anche tu la pensi come noi, ricorda che hai a disposizione un servizio di Twinning, Editing o di Ghostwriting cucito su misura per te. Puoi dargli un'occhiata, se ti va!

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